Pazienza
Inizio a pensare che desiderare che il tempo scorra veloce richieda
una certa dose di follia e di sofferenza. Nessun cambiamento è
immediato. La vita è invece proprio la somma di quei momenti che a noi
sembrano così inutili, quei momenti tra un grande cambiamento e il
successivo. Scopriremo chi siamo solo in quei lunghi silenzi in cui
sembra non succedere nulla.
La pazienza è fondamentale. Serve per darci il tempo di capire cosa stia succedendo, piuttosto che correre da un punto all'altro della vita senza avere la minima idea di quello che stiamo facendo. Nel caso dell'endometriosi significa aspettare. Perchè in fondo è l'unica cosa che possiamo fare. Aspettare in sala d'attesa, aspettare che ci chiamino per un intervento, attendere al telefono per prenotare una visita, aspettare pazientemente di trovare la cura giusta.
Penso che quest'ultima sia la cosa più difficile. Siamo consapevoli che la malattia ci ha cambiate per sempre, che il nostro corpo non è più lo stesso, che l'endometriosi verrà con noi ovunque andremo. Ma allo stesso tempo ci sentiamo impotenti perchè trovare la terapia giusta per noi può richiedere anni. Anni durante i quali potremmo ancora avere il ciclo, i dolori, le perdite e in cui potremmo dover affrontare ricoveri, interventi, cambiamenti nella malattia stessa.
E così, per non impazzire, non ci resta che aspettare, seguendo con lo sguardo e con la mente gli avvenimenti che nel frattempo si manifesteranno. Nel frattempo ci sono mille altri problemi, perchè la vita non è mai noiosa, e a volte persino la malattia passa in secondo piano, inevitabilmente.
Ma se il giorno stesso in cui ci viene diagnosticata la malattia volessimo la cura, dovremmo fare un salto temporale, tralasciando tutto quello che c'è in mezzo. Ci perderemmo anni di vita, momenti di dolore e di gioia, di indecisione e di paura, ma anche di sollievo e di forza.
Non sono ancora arrivata a trovare la terapia giusta e probabilmente non esiste, in quanto dopo molti anni il corpo potrebbe non rispondere nello stesso modo ai farmaci e potrebbe essere necessario cambiarli. Sono invece in una fase di pazienza contemplativa, in cui osservo il viaggio fatto fino ad ora. Trovo molto dolore ed incertezza, il che è normale, visto che si parla di una malattia che non sai come si evolverà, non ti è dato sapere.
Trovo solitudine, nelle notti in cui non riuscivo a dormire e potevo solo camminare per casa aspettando che gli antidolorifici facessero effetto o nelle sere in ospedale, quando vorresti essere con i tuoi amici, il sabato sera magari, a mangiare una pizza e a ridere con loro. Invece sei in una stanza d'ospedale, generalmente con qualche vecchietta che russa nel buio alle 9 di sera (avendo mangiato alle 6, la digestione è bella che finita).
Poi, come raggi di luce nel buio, trovo qualcos'altro. I sorrisi delle infermiere, le loro battute. Ma anche le carezze del mio compagno, le sue cure una volta tornati a casa dopo l'intervento e il suo sguardo mentre aspetta in sala d'attesa che tu finisca l'ennesima visita. Mi ricordo le battute fatte da me sul catetere, gli amici che sono venuti a trovarmi in ospedale. Lo sguardo comprensivo e pieno di quel medico che ti ascolta sempre. Trovo dentro di me tutti i moti emozionali di questi anni, ogni pace che ho scoperto, ogni sorriso che non ho allontanato, le volte in cui ho pianto, la disperazione, la rabbia, l'accettazione, perfino la gioia delle piccole cose. Una lasagna dopo due settimane di ospedale vi possono assicurare che è pura gioia.
Così ora che mi trovo in difficoltà, persa nel mare di impegni che finalmente posso prendere, ma di nuovo incapace di vedere il bello di questa vita, guardo indietro a quello che ho avuto e riesco a dare valore a quello che oggi ho. Non voglio dimenticare nulla, nemmeno il dolore, perchè è grazie ad esso che ho conosciuto alcune persone fantastiche che per me sono state importanti, pazienti più grandi di me che sono state e sono ancora oggi un esempio da seguire. Da ognuna di loro ho imparato qualcosa e ne ho fatto tesoro dentro di me.
Nel dolore ho imparato che dipendiamo dagli altri, non solo nella malattia. Nel momento del bisogno, ho scoperto su chi potevo contare e ho condiviso la mia esperienza con persone magnifiche, alle quali speso sia rimasto qualcosa di positivo. Ho condiviso con il mio compagno momenti molto difficili, scoprendo in lui non solo un alleato, ma un amorevole uomo innamorato.
Così ora che mi trovo in difficoltà, incapace di vedere il bello della vita che ho faticosamente ottenuto, paziento. Aspetto che le cose cambino, concedo tempo alla mia mente di riprendersi, di capire, di calmarsi. Attendo che le cose si sistemino, alla fine succede sempre. Attendo un segnale che questo periodo sia finito e ne stia per cominciare un altro, nuovo. Ma la transizione è di nuovo graduale e nel frattempo cerco di godermi quello che c'è in mezzo. Persino il dimenticarsi del valore di rallentare è vita. Vale la pena ricordarsi tutto, seguire il modificarsi di noi stessi e del mondo. Ogni conquista è il risultato di innumerevoli piccoli avvenimenti e gesti che si sommano, si incastrano e si fondono in quel tempo che molti vorrebbero saltare e che invece io resto pazientemente a guardare.
E forse, dopo un mese che non scrivevo nulla, questo è un piccolo segno che qualcosa stia già cambiando. Rallento, mi concedo di pensare a me stessa. Il cambiamento è qui, non ha mai un vero inizio, nè una vera fine.
Domande:
La pazienza è fondamentale. Serve per darci il tempo di capire cosa stia succedendo, piuttosto che correre da un punto all'altro della vita senza avere la minima idea di quello che stiamo facendo. Nel caso dell'endometriosi significa aspettare. Perchè in fondo è l'unica cosa che possiamo fare. Aspettare in sala d'attesa, aspettare che ci chiamino per un intervento, attendere al telefono per prenotare una visita, aspettare pazientemente di trovare la cura giusta.
Penso che quest'ultima sia la cosa più difficile. Siamo consapevoli che la malattia ci ha cambiate per sempre, che il nostro corpo non è più lo stesso, che l'endometriosi verrà con noi ovunque andremo. Ma allo stesso tempo ci sentiamo impotenti perchè trovare la terapia giusta per noi può richiedere anni. Anni durante i quali potremmo ancora avere il ciclo, i dolori, le perdite e in cui potremmo dover affrontare ricoveri, interventi, cambiamenti nella malattia stessa.
E così, per non impazzire, non ci resta che aspettare, seguendo con lo sguardo e con la mente gli avvenimenti che nel frattempo si manifesteranno. Nel frattempo ci sono mille altri problemi, perchè la vita non è mai noiosa, e a volte persino la malattia passa in secondo piano, inevitabilmente.
Ma se il giorno stesso in cui ci viene diagnosticata la malattia volessimo la cura, dovremmo fare un salto temporale, tralasciando tutto quello che c'è in mezzo. Ci perderemmo anni di vita, momenti di dolore e di gioia, di indecisione e di paura, ma anche di sollievo e di forza.
Non sono ancora arrivata a trovare la terapia giusta e probabilmente non esiste, in quanto dopo molti anni il corpo potrebbe non rispondere nello stesso modo ai farmaci e potrebbe essere necessario cambiarli. Sono invece in una fase di pazienza contemplativa, in cui osservo il viaggio fatto fino ad ora. Trovo molto dolore ed incertezza, il che è normale, visto che si parla di una malattia che non sai come si evolverà, non ti è dato sapere.
Trovo solitudine, nelle notti in cui non riuscivo a dormire e potevo solo camminare per casa aspettando che gli antidolorifici facessero effetto o nelle sere in ospedale, quando vorresti essere con i tuoi amici, il sabato sera magari, a mangiare una pizza e a ridere con loro. Invece sei in una stanza d'ospedale, generalmente con qualche vecchietta che russa nel buio alle 9 di sera (avendo mangiato alle 6, la digestione è bella che finita).
Poi, come raggi di luce nel buio, trovo qualcos'altro. I sorrisi delle infermiere, le loro battute. Ma anche le carezze del mio compagno, le sue cure una volta tornati a casa dopo l'intervento e il suo sguardo mentre aspetta in sala d'attesa che tu finisca l'ennesima visita. Mi ricordo le battute fatte da me sul catetere, gli amici che sono venuti a trovarmi in ospedale. Lo sguardo comprensivo e pieno di quel medico che ti ascolta sempre. Trovo dentro di me tutti i moti emozionali di questi anni, ogni pace che ho scoperto, ogni sorriso che non ho allontanato, le volte in cui ho pianto, la disperazione, la rabbia, l'accettazione, perfino la gioia delle piccole cose. Una lasagna dopo due settimane di ospedale vi possono assicurare che è pura gioia.
Così ora che mi trovo in difficoltà, persa nel mare di impegni che finalmente posso prendere, ma di nuovo incapace di vedere il bello di questa vita, guardo indietro a quello che ho avuto e riesco a dare valore a quello che oggi ho. Non voglio dimenticare nulla, nemmeno il dolore, perchè è grazie ad esso che ho conosciuto alcune persone fantastiche che per me sono state importanti, pazienti più grandi di me che sono state e sono ancora oggi un esempio da seguire. Da ognuna di loro ho imparato qualcosa e ne ho fatto tesoro dentro di me.
Nel dolore ho imparato che dipendiamo dagli altri, non solo nella malattia. Nel momento del bisogno, ho scoperto su chi potevo contare e ho condiviso la mia esperienza con persone magnifiche, alle quali speso sia rimasto qualcosa di positivo. Ho condiviso con il mio compagno momenti molto difficili, scoprendo in lui non solo un alleato, ma un amorevole uomo innamorato.
Così ora che mi trovo in difficoltà, incapace di vedere il bello della vita che ho faticosamente ottenuto, paziento. Aspetto che le cose cambino, concedo tempo alla mia mente di riprendersi, di capire, di calmarsi. Attendo che le cose si sistemino, alla fine succede sempre. Attendo un segnale che questo periodo sia finito e ne stia per cominciare un altro, nuovo. Ma la transizione è di nuovo graduale e nel frattempo cerco di godermi quello che c'è in mezzo. Persino il dimenticarsi del valore di rallentare è vita. Vale la pena ricordarsi tutto, seguire il modificarsi di noi stessi e del mondo. Ogni conquista è il risultato di innumerevoli piccoli avvenimenti e gesti che si sommano, si incastrano e si fondono in quel tempo che molti vorrebbero saltare e che invece io resto pazientemente a guardare.
E forse, dopo un mese che non scrivevo nulla, questo è un piccolo segno che qualcosa stia già cambiando. Rallento, mi concedo di pensare a me stessa. Il cambiamento è qui, non ha mai un vero inizio, nè una vera fine.
Domande:
- La pazienza porta ad osservare meglio? Sì
- L'osservazione porta ad avere pazienza? Certo
- Il silenzio è pieno di risposte?
Ho scritto questo articolo circa un anno fa, ecco perchè